Page 31 - GIAMPAOLO TALANI
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TOM HANKS SULLA BATTIGIA
LA JAM SESSION DEGLI SPAESATI
di Fabio Canessa
Sulla battigia, gli “animali” antropomorfi di Giampaolo Talani sono pronti per
un’improbabile partenza, con le valigie, le cravatte svolazzanti, i pensieri, i ricordi e
un’espressione di disarmante perplessità. Eroi senza avventura, mantengono però
il fascino misterioso di un Corto Maltese. Pierrot senza trucco, serbano comunque la
dignità di chi si ostina ad affrontare la vita con il suo carico di illusioni e delusioni.
Viaggiatori immobili e un po’ sgualciti, sembrano la versione postmoderna di quelli
che, nel 1873, Giosue Carducci osservava con amaro disincanto “Alla stazione in una
mattina d’autunno”: “Dove e a che move questa, che affrettasi/ a’carri foschi, ravvolta
e tacita/ gente? a che ignoti dolori/ o tormenti di speme lontana?”. Il decoro anonimo
dell’abbigliamento non impedisce di coglierne le lacerazioni interiori, sbrindellati
come sono, qua e là, da una pittura che li interseca con i sogni che affollano il loro
immaginario. Fra le dune e le ombre, sotto i raggi del sole o nelle notti illuminate dai
fuochi d’artificio estivi, c’è chi aspetta, chi cerca, chi ascolta una conchiglia in attesa di
una rivelazione, o anche soltanto di una comunicazione. Infatti sono soli anche quando si
trovano in compagnia. Mentre il vento di mare impazza e li confonde. Nella democrazia
esistenziale della battigia, si mescolano indistintamente vivi e morti (e non è sempre
facile distinguerli, perché i vivi sono già un po’ morti e i morti partecipano ancora della
vita), padri ricordati che vorremmo incontrare di nuovo e figli a cui affidiamo la speranza
del futuro, memorie e sogni, umiliazioni e aspirazioni. Se una notturna pioggia di stelle
cadenti è pronta a regalare l’occasione di esaudire un desiderio, anziché coglierla con
gioia, l’istinto è quello di rannicchiarsi per proteggersi da essa, rifiutando di cedere
all’azzardo di tentare la fortuna. Perché l’animo è dimesso, perché manca il coraggio o
perché il sogno, da solo, ha già esaurito ogni velleità o energia. Rimangono i castelli di
sabbia a rappresentare le fragili, tenere ed effimere architetture dei progetti vagheggiati,
delle voglie inespresse. Ricorrono simbolici talismani, come la rosa, e oggetti capaci di
sprigionare queste esistenze trattenute, come gli strumenti musicali, quasi che la bellezza
e l’arte avessero il potere di offrire una boa, un ormeggio, un salvagente agli sbandati
pellegrini, di orientarli nello sbalestramento di quel viaggio dal percorso incerto che è la
vita. L’opera di Talani si interroga ossessivamente sulle coordinate di questo viaggio della
vita, nella vertigine di uno spazio, la spiaggia, che è libero e sconfinato quanto invece si
presenta sempre uguale a se stesso, fino a generare un paradossale effetto claustrofobico, e
di un tempo che mischia le carte del passato, del presente e dell’immaginazione. Così, con
sensibilità tutta contemporanea, le assorte fantasticherie balneari, in mezzo a ombrelloni
spazzati dal vento e a donnine che volano sulle ali del desiderio maschile, toccano il
tema dell’identità. I personaggi di Talani formano, in un ipnotico gioco di specchi, una
continua variante dell’autoritratto dell’artista e insieme il ritratto di noi tutti. Se si potesse
trarre un film dai dipinti di Talani, ne sarebbe interprete ideale Tom Hanks. Non tanto
quello di “Forrest Gump”, che comunque non stonerebbe sulla battigia. Piuttosto quello
di “Cast away”, lo spaesato Robinson Crosue postmoderno sulla spiaggia dell’isola deserta
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